Reggina, atto di umiltà rivolgersi a Pillon. Giacchetta, ecco il conto

jackdi Paolo Ficara - Stavolta Lillo Foti ha aspettato fino a metà marzo, prima di mandare all'aria il progetto biennale con Davide Dionigi. Presa tale decisione, certe cose vanno fatte intere, fino in fondo, e non lasciate a metà. Per quanto riguarda il tecnico appena esonerato, ci siamo espressi settimanalmente sul suo operato. In questo momento, ci sentiamo di sottolineare che senza Simone Missiroli la Reggina ha vinto ben poche partite negli ultimi tre anni. I risultati ottenuti da Dionigi sono equiparabili a quelli di Atzori, Gregucci e l'ultimo Breda, che dal momento in cui hanno visto partire il miglior giocatore prima verso Cagliari e poi verso Sassuolo, hanno battuto qualche avversario soprattutto con una buona dose di fortuna.

Entrato tre anni fa nell'organigramma della prima squadra con la nomenclatura di "responsabile dell'area tecnica" (non avendo l'abilitazione come direttore sportivo), Simone Giacchetta di responsabilità se ne è prese ben poche. Le vagonate di calciatori presi dalla Lega Pro non hanno dato quasi nessun frutto, e se prima del suo "avvento" la Reggina si trovava a gestire una trentina di contratti, alcuni dei quali con cifre da Serie A, adesso se ne ritrova tra i 40 ed i 50, e per almeno due terzi si tratta di giocatori che ancora non sono né carne e né pesce.

Tra ragazzi presi e poi prestati e riprestati in Lega Pro senza che avessero spazio (Burzigotti, Giosa, Ruggeri), quelli messi fuori rosa e svincolati dopo uno o due anni (Antonio Marino, Zizzari sono gli esempi più recenti), quelli buttati in campo senza un ruolo preciso e poi finiti in panchina oppure di nuovo in Lega Pro (Armellino, De Rose, Fischnaller, Melara), la tendenza a ghettizzare quegli elementi cresciuti nel vivaio ben prima che l'incompetente di Fabriano appendesse le scarpe al chiodo (Camilleri, Castiglia, Cosenza, i fratelli Viola), si incastonano le seguenti perle assolute:

Il doppio prestito consecutivo di Kovacsik, in presenza di cotanta abbondanza di validi portieri in organico; Hallfredsson svenduto al Verona a 400 mila euro; Cascione scambiato alla pari con Zizzari; Montiel prima riscattato a soldi dall'Udinese e poi perso a parametro zero; Ceravolo riscattato a soldi dall'Atalanta, portato quasi a scadenza e svenduto ad una cifra di poco superiore a quella spesa per la metà del cartellino di Fischnaller; le guerre ai calciatori di personalità come Bonazzoli e Tedesco (non si azzardi a smentire); l'idea di sostituire Missiroli prima con De Rose e l'anno dopo con Armellino, e di prendere Hetemaj per sopperire alla partenza di Nicolas Viola perché "il regista non serve". Probabilmente ci stiamo dimenticando qualcuno e/o qualcosa, ma è giusto ricordare anche l'unico acquisto preso dalle categorie inferiori e realmente valorizzato (come cifra incassata dalla cessione, più che per il rendimento), cioè Francesco Acerbi.

Se passiamo alla scelta degli allenatori, nonché alla gestione dei rapporti tra squadra e tecnico oppure tecnico e presidente, il conto diventa salatissimo per Giacchetta. Ha insistito per portare Atzori, per riportare Breda e per far sottoscrivere un biennale a Dionigi; col primo ci ha litigato dopo pochi mesi, e al di là di un campionato in cui la Reggina ha vissuto di rendita dopo i risultati dei primi tre mesi, la scelta non si può dire azzeccata; l'amicizia col biondo trevigiano lo ha portato egoisticamente a complicare la vita del malcapitato Gregucci, pur di avere il proprio alter ego in panchina al solo fine di sculacciare virtualmente i monelli (per lui) Bonazzoli, Cosenza e Viola. Allontanati i "capi della fronda", qualcosa non deve aver funzionato nell'allestimento della squadra per il terzo allenatore in tre anni scelto da Jack Smentisco, dato che Dionigi si è ritrovato uno spogliatoio senza una guida, in cui ognuno andava e continua ad andare per cavoli propri. Poi sul comun denominatore che ha caratterizzato i rapporti con gli allenatori, ovvero le ingerenze sul modulo, forse un giorno scriveremo un libro.

Ora torna Bepi Pillon, che circa quattro anni fa si è fatto esonerare dalla Reggina proprio per non aver accettato le ingerenze di Gabriele Martino all'epoca ds. Sarebbe grave farlo stare a contatto anche solo per due ore con uno che è peggio di Martino, significherebbe non aver capito granché. Prima che riporti la Reggina allo stesso livello in cui l'ha trovata quando è arrivato da calciatore, cioè in bassa classifica di C1 e con Gabriele Geretto (oggi fidato alleato nel settore giovanile) in panchina, Giacchetta deve essere allontanato. Bisogna salvare quel poco di calcio che è rimasto a Reggio Calabria, senza guardare in faccia capitani, bandiere, lingue lunghe e figliocci.

Da parte di Foti, rivolgersi nuovamente a Pillon appare come un atto di umiltà. È evidente che il presidente ha riconosciuto il torto nell'essersi fidato di Martino, togliendo troppo presto la fiducia all'allenatore veneto e consentendo ai maghi Gabriele e Nevio di far sparire la Reggina dalla Serie A. Forse sarà stato apprezzato anche l'atteggiamento tenuto successivamente da Pillon, che da avversario ha sì confermato i dissapori con una parte della dirigenza amaranto, ma non ha rinunciato alla propria cavalleria nell'Ascoli-Reggina della stagione successiva. Il team bianconero, da lui guidato, si era portato in vantaggio con Valdez a terra ed i giocatori della Reggina che urlavano di buttare la palla fuori; il tecnico ordinò ai suoi di far pareggiare gli amaranto, e quel gesto di fair-play gli valse alcuni premi ma anche tantissime polemiche ad Ascoli.

Incitiamo il presidente a combattere ancora per la nostra Reggina. Con uomini nuovi, capaci di creare un gruppo di lavoro valido, e non una cricca di spioni. Per farlo bisogna andare avanti, senza cercare sempre le soluzioni nel passato. Il calcio, così come la società civile, è un altro mondo rispetto a vent'anni fa, e bisogna affidarsi a persone che sappiano come rivolgersi sia ai calciatori che all'ambiente circostante. È vero, Pillon in teoria ha già un passato alle spalle in amaranto. Ma forse rappresenta una di quelle poche scelte che andavano portate avanti.