I Gipsy Boss: i rom di Arghillà organici alla ‘ndrangheta

fratellimorellidi Angela Panzera - Ad Arghillà c'è la 'ndrangheta. Una 'ndrangheta non solo "affidata" alle storiche famiglie presenti sul territorio, ma anche alla comunità rom che da anni insiste alla periferia nord della città. È questo il "merito" dell'indagine "Eracle" che oggi ha visto fermare, su ordine dei pm Sara Amerio, Walter Ignazitto, Giovanni Gullo e Stefano Musolino, 15 persone ritenute affiliate o contigue alle cosce Condello e Stillittano. Per la prima volta, nel distretto giudiziario reggino, viene appunto contestato a due dei principali esponenti della comunità rom, Cosimo e Andrea Morelli, il reato di associazione mafiosa ed in particolare i due sono accusati dalla Dda dello Stretto di "prendere parte all'associazione in più stringente connessione operativa con l'articolazione territoriale della 'ndrangheta che agisce prevalentemente nel quartiere di Catona ed Arghillà del comune di Reggio Calabria e

nei territori limitrofi. In particolare in qualità di promotori- è scritto nel decreto di fermo- dirigenti ed organizzatori dell'associazione, svolgevano compiti di decisione, pianificazione ed individuazione delle azioni e delle strategie del sodalizio criminoso nel quartiere Arghillà; esercitavano un penetrante controllo del territorio presidiandolo con uomini armati ed imponendo, tra l'altro, il pagamento di somme di denaro agli occupanti delle case popolari esistenti; mantenevano i contatti con gli esponenti apicali della cosca federata Stillittano e delle altre famiglie egemoni nei territori limitrofi, offrivano alle cosche federate il contributo dei propri uomini

armati per l'esecuzione di delitti (danneggiameli, estorsioni, reati contro la persona) appositamente commissionati; custodivano le armi del sodalizio e le procuravano agli esponenti della cosche federale; si attivavano per il recupero di veicoli rubati ad esponenti delle cosche alleate o a soggetti che a questi ultimi si rivolgevano per ottenerne la restituzione; contribuivano al mantenimento in carcere dei componenti del sodalizio e, fra gli altri, di Domenico Stillittano". I due indagati sarebbero, per l'accusa, due veri boss. Anzi gipsy-boss, che grazie al "riconoscimento" criminale delle storiche famiglie mafiose reggine, con il loro esercito di sodali e "picciotti" da un lato fortificavano la 'ndrangheta cittadina e dall'altro presidiavano con forza, e con il bene placet delle cosche, il loro territorio aumentando a dismisura il loro potere all'interno della comunità di appartenenza e scalando sempre più le gerarchie mafiose.

"II quartiere Arghillà di Reggio Calabria è, notoriamente, caratterizzato da una significativa presenza di esponenti della comunità ROM- scrive la Dda nel provvedimento odierno- ed è stato teatro, negli ultimi decenni, di una recrudescenza delinquenziale, connotata — non soltanto dal proliferare di reati contro il patrimonio — ma anche dall'instaurazione di rapporti di stretta e proficua collaborazione con gli storici rappresentanti della criminalità organizzata reggina. In tale contesto è emersa, nel presente procedimento, la figura di Cosimo Morelli (detto Cocò) e del fratello Andrea, personaggi dalla poliedrica vocazione criminale, collocatisi al vertice di una congrega organizzata di "zingari" ormai egemone su quel territorio. Cocò ed Andrea Morelli hanno assunto la guida di un vero e proprio "esercito" di banditi dediti alla consumazione di reati "comuni", ma al contempo postisi a servizio delle cosche di 'ndrangheta, quale braccio armato ed operativo da utilizzare per il raggiungimento degli obiettivi associativi.

Ed ecco che grazie alle numerose intercettazioni- captate dai Carabinieri della Compagnia reggina, diretta dal maggiore Mariano Giordano, e dei militari del Norm, guidati dal tenente Alessandro Bui, la Procura Antimafia con chiarezza avrebbe dimostrato che nel quartiere di Arghillà opera, in forma organizzata, un sodalizio composto da numerosissimi esponenti della comunità Rom, che — guidati dai fratelli Morelli— avrebbero monopolizzatole dinamiche criminali della zona. Questo sodalizio criminale per l'Antimafia "è pienamente riconducibile nell'alveo del reato di associazione mafiosa" sia perché è in grado di esercitare un'autonoma e diffusa forza di intimidazione, in ragione del numero di affiliati, della spregiudicatezza e della frequenza delle azioni criminali e della grande disponibilità di armi da sparo, sia perché si è ormai federato alle famiglie di 'ndrangheta aventi competenza su quel territorio. I fratelli Cocò e Andrea Morelli avrebbero infatti, stretto proficui rapporti di alleanza con le famiglie dello schieramento condelliano, avendo da tempo ricevuto l'avallo dei rappresentanti della cosca Rugolino ed infine, avrebbero stipulato accordi di intensa collaborazione con la cosca Stillittano. Proprio in virtù di tutti questi accordi il gruppo Morelli "ha messo a disposizione delle tradizionali famiglie di 'ndrangheta i suoi numerosi e versatili "picciotti", garantendosi al contempo la legittimazione ad esercitare i! controllo mafioso sull'intero Villaggio Arghillà ed a gestire i lucrosi business criminali, non ultimo quello legato allo spaccio di sostanze stupefacenti".

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Nel giugno 2016 inquirenti e investigatori ascoltano in diretta la disputa intercorsa fra Vincenzo Ferrante, nipote del boss detenuto Domenico Stillitano e Cocò Morelli. Ferrante sarebbe stato "geloso" del potere progressivamente accumulato dal rivale e non intendeva riconoscere a lui ed al fratello Andrea il ruolo di "reggenti" del quartiere Arghillà .In particolare, conversando con Massimo Bevilacqua, stigmatizzava il comportamento assunto da Cocò, assumendo di non sentirsi intimidito dai suoi atteggiamenti da boss ed additandolo come "malato di 'ndrangheta"

Ferrante: Sono montati di "pisciazza"

Bevilacqua: Ehi...C'è suo fratello, sono tutti e due ma Cosimo (...) Cosimo è malo, è malato

Ferrante: Malato di 'ndrangheta pericoloso (...) parla con quella voce tipo Totò Riina, del tipo che impressiona le persone gli pare a lui (...) Ha detto che, ad Arghillà c'è lui, gli ho detto che senza offesa ci sono prima io di te, e non perché ci sto prima io, per le amicizie che abbiamo...(inc)...Giovanni Craxi".

Ferrante, per l'accusa, non ignorava che Cocò Morelli aveva a suo tempo ottenuto dai vertici della cosca Rugolino, ed in particolare da Giovanni Rugolino detto "Craxi), l'autorizzazione ad operare in Arghillà. Egli, tuttavia, si considerava in grado di esercitare nella zona il potere che gli derivava dal rapporto privilegiato con lo zio Mico, anch'egli storicamente alleato con la famiglia Rugolino ...vedi che lo dico senza offesa, c'è Giovanni Craxi' e cosa sempre io comando ad Arghillà.

Ferrante, certo di poter contare anch'egli sull'appoggio di Giovanni Rugolino, riteneva quindi di non dover soggiacere agli ordini di MorelliI, e si rifiutava di riconoscergli l'autorità che invece Cocò Morelli si arrogava su territorio. Cocò Morelli, a detta del Ferrante, aveva più volte rivendicato la sua egemonia sul quartiere di Arghillà, in forza dì una spartizione del territorio disposta dai capi delle cosche di 'ndrangheta lì competenti:

Ferrante: "parla tutto, ha detto «qua ad Arghillà lo hanno dato a me (inc)le macchine» mi ha detto «mi devi dare conto a me»; gli ho detto «se ti capita qualcosa a te non venire poi da noi» gli ho detto «non voglio niente da te e niente voglio io di quello che faccio ad Arghillà» (,..)no, ha detto che gli hanno dato a lui il coso ad Arghillà".

Anche Salvatore Falduto, nell'ascoltare le lamentele del Ferrante, sosteneva che Morelli si occupasse degli affari criminali di Arghillà grazie alla legittimazione a suo tempo ricevuta da Giovanni "Craxi" Rugolino, che era stato da poco scarcerato

Ferrante: bisogna vedere se è vero, chi cazzo lo porta avanti

Falduto: Giovanni

Ferrante: ah lui

Falduto: uhm

Ferrante: chi sa (inc) è uscito Giovanni

Falduto: si, lo porta Giovanni.

Il 16 luglio 2016, tuttavia, era sempre il Ferrante che, conversando con due giovani amici, dava atto del rapporto di stabile collaborazione che egli stesso aveva stretto con Cocò e Andrea Morelli, ai fini della più proficua organizzazione dello spaccio nel quartiere di Arghillà.

Ferrante: minchia abbiamo perso un sacco di soldi stasera... no io l'ho "spicciata" (gergo spacciata) l'ho finita ieri (inc) ora lunedì mi arriva quell'altra (inc) siccome con Cocò facciamo a cambio ... quando manca a me se la prende lui quando (inc) ci uscivano cinquecento euro stasera (...) se è un amico se viene sempre, se viene Cocò me ne fatto dico io... Cinque., sei., prenditele e come vengo e ti ...(inc)... quello non è un problema, con Andrea, con i suoi fratelli, non ho di questi problemi, con soldi senza soldi, l'importante è che resta l'amicizia..".

Tra Ferrante quindi e il presunto boss Cocò Morelli non tirava una buona aria. "Solo in ragione del patto di collaborazione siglato con la famiglia Stillittano- scrive la Dda- Cocò Morelli aveva tollerato le intemperanze di Vincenzo Ferrante, come dallo stesso ammesso subito dopo: E gridava, gli ho detto "E" inutile che gridi... A chi gli gridi?" "Devi ringraziare che sei il nipote di Stillittano altrimenti ti sotterravo qua" mi ha detto".

Altro dato significativo della presunta appartenenza dei due fratelli Morelli alla 0ndnrgheta operante nella zona Nord reggina è "la sistematicità con cui destinavano parte dei loro profitti al mantenimento degli affiliati reclusi". Ciò sarebbe" la prova e il riscontro indubitabile in ordine all' affectio societatis che li legava agli altri membri della consorteria. È noto infatti- chiosano i pm- che una delle tipiche caratteristiche organizzative dì ogni associazione di tipo mafioso è rappresentata dal sostentamento che gli associati, in virtù del legame solidaristico ingenerato dalla comune affiliazione, garantiscono ai sodali ristretti in carcere ed ai loro familiari.

Perfettamente in linea con gli esiti delle intercettazioni ambientali, sono anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Cristiano, che prima di essere fermato nell'ambito dell'inchiesta "Sansone" gravitava nel cartello mafioso deglI Buda-Imerti e Zito-Bertuca. Nell'interrogatorio del 17 febbraio infatti, il "pentito"

ha rievocato un incontro con Cocò Morelli, "capo degli "zingari" di Arghillà e già affiliato alla 'ndrangheta grazie all'intervento di Giovanni Rugolino:

Cristiano: "So che Rugolino ha affiliato alla sua cosca anche gli zingari di Arghillà. Conosco il capo di questi Zingari, tale Cocò. Cocò è colui che comanda ad Arghillà e si occupa, in particolare, dello spaccio di droga. È alto circa 1 mentro e 70, robusto e stempiato. Veste "griffato" e ricordo che aveva un'autovettura modello "Touareg". So che è riconosciuto come 'ndranghetista ed è stato affiliato da Rugolino. Me lo ha detto espressamente lo stesso Cocò. Ricordo che un mio amico, Giuseppe FALLETI (vicino alla cosca Bertuca) era stato arrestato con un fratello di Cocò (tale Mimmo). Io mi trovavo da Falleti ed arrivò Cocò con un'altra persona di cui non conosco il nome. Cocò sapeva che ero un "amico", cioè che gravitavo negli ambienti della cosca Bertuca e quindi con me si apri, ostentando il suo ruolo di "capo " ad Arghillà e dicendomi che poteva disporre di 500 uomini. Disse, però, che era momentaneamente "fermo" perché aspettava la scarcerazione di Giovanni Rugolino". Adesso i Condello, gli Stillittano e anche i Morelli di Arghillà sono tutti nello stesso posto: in carcere.