De Grazia e le navi: nuove deposizioni sull'intrigo all'ombra dei Servizi

de grazia nataledi Claudio Cordova - Un cambiamento di programmi dell'ultima ora. Il viaggio verso La Spezia, quello in cui perderà la vita in cause tuttora più che sospette, il Capitano di Corvetta Natale De Grazia non l'avrebbe mai dovuto effettuare. La sua destinazione, infatti, era un'altra: Crotone, da solo e non insieme al militare dei Carabinieri Niccolò Moschitta. Al suo posto sarebbe dovuto esserci il maresciallo Domenico Scimone. L'inversione di ruoli, nell'ambito delle delicate indagini sulle "navi dei veleni", quelle che, secondo la famiglia e non solo, sarebbero costate la vita a De Grazia,  è stata comunicata proprio da Scimone, ascoltato, circa un mese fa, dalla Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, presieduta da Gaetano Pecorella: "Il viaggio prevedeva un certo programma, ma all'ultimo momento il comandante De Grazia decise di cambiare itinerario, ossia di mandare me a Crotone a sentire il demolitore della nave Jolly Rosso, mentre lui preferì andare in dogana, dove sapeva come muoversi in relazione alle bolle di carico delle navi.  Se non ricordo male, la verifica riguardava la Rigel, di cui non si riusciva a capire perché fossero fatte in un certo modo nel processo, per cercare altra documentazione a sostegno di quanto aveva visto nelle bolle di carico. Inoltre, se non ricordo male, aveva intenzione di controllare anche le bolle di carico della Jolly Rosso".

Sono molto delicate le indagini che De Grazia porta avanti nel pool di investigatori coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri. Gli altri membri della squadra hanno esperienza di polizia giudiziaria, ma De Grazia è un marinaio ed è l'unico che sa leggere una mappa, l'unico in grado di raccapezzarsi, per la ricerca delle "navi dei veleni", che sarebbero state affondate al largo delle coste calabresi: "Avevamo preso il registro navale del Lloyd adriatico in cui davano per scomparse queste navi. Dal punto di partenza ultimo conosciuto e considerando il porto di destinazione avevamo tracciato più o meno un itinerario calcolando la velocità possibile di una nave con quelle caratteristiche. Avevamo fatto questa ricostruzione nautica per comprendere dove potessero essere affondate le navi che avevano perso ogni tipo di contatto. Abbiamo indicato queste zone in una cartina che avevamo in ufficio. Lo ricordo perché la ricostruzione è avvenuta insieme al capitano De Grazia. Di alcune di queste navi erano legalmente riconosciuti i luoghi di affondamento, tra cui mi pare ci fosse la Michigan, la Jolly Rosso e la famosa Rigel. Per quest'ultima però davano come punto di affondamento 20 miglia al largo di Capo Spartivento sulla base dell'inchiesta condotta da La Spezia, finalizzata all'indagine sulla truffa ai danni dell'assicurazione. Dell'affondamento di quella nave alle capitanerie di porto di Reggio Calabria, Messina e Catania non risultava nulla, tranne l'attività svolta da La Spezia, che seguiva l'attività su questa nave con intercettazioni telefoniche".

De Grazia, però, non molla e a prezzo di tanti sforzi riesce infine a restringere il campo rispetto ai tanti, tantissimi relitti in fondo ai mari calabresi, a una quindicina di navi: "Per capire quante navi potessero essere affondate nel nostro territorio – dice ancora Scimone - ci siamo rifatti ai registri Lloyd's nei quali erano indicate tutte le navi scomparse di cui era dichiarato l'affondamento. Vi era indicato il luogo di partenza e quello di destinazione, l'affondamento, ma senza dare i punti nave. Si indicava la dicitura "scomparsa". Sulla base di questi due dati, porto di partenza e di arrivo, abbiamo ricostruito il tragitto più logico dal punto di vista navale: ad esempio, da La Spezia per andare a Durazzo, una nave avrebbe fatto il giro davanti allo stretto. Calcolando i tempi di navigazione e la velocità, la scomparsa presumibilmente arrivava in quella nostra zona, considerando anche gli ultimi contatti radio che risultavano dai registri Lloyd's".

Due, in particolare, le imbarcazioni più famose. La Rigel, affondata al largo di Capo Spartivento, a migliaia di chilometri di profondità, e la Rosso, spiaggiata ad Amantea nel dicembre 1990: "La Rigel era oggetto di indagini per truffa ai danni dell'assicurazione, ma sulla stessa c'era a monte l'attività d'indagine su un altro affondamento misterioso. Alcuni personaggi erano stati tratti in arresto, tra cui mi pare un funzionario di dogana di cui non ricordo il nome perché sono trascorsi tanti anni. In ogni caso, è tutto negli atti del processo di La Spezia. Iniziano l'attività a seguito dell'affondamento di una nave il cui scopo sarebbe stato di truffare l'assicurazione. Aprono, dunque, un fascicolo processuale con un'attività di indagine che ha consentito le intercettazioni. Seguono il carico sulla Rigel e il suo affondamento". L'indagine, dunque, nasce come accertamento per capire se, come e quanto gli armatori, facendo colare a picco le proprie navi, abbiano potuto truffare le assicurazioni. Ma ben presto, gli investigatori si accorgono di avere a che fare con traffici ancor più grossi e inquietanti: "Non c'è dubbio – afferma ancora Scimone - che dalle bolle di carico della Rigel emerga una grossa anomalia. Tutto era finalizzato alla truffa all'assicurazione. Addirittura, per rendere credibile il trasporto dichiarato dei container erano stati caricati con balle di cemento armato. Abbiamo anche sentito che è agli atti il nome di chi ha realizzato questi blocchi di cemento e che li ma messi in questi container.  Sopra ogni container, peraltro, era stato collocato granulato di marmo alla rinfusa, trasporto abbastanza anomalo. Mettere tutto nella stiva nei container e poi butti sopra il granulato di marmo alla rinfusa. Da quanto deducemmo io e De Grazia, serviva solo ad appesantire la nave affinché andasse giù velocemente.  Inoltre, di certo risultavano sul carico, dalla bolla della Rigel, scarti di polimero, il famoso ABS, che erano stati consegnati da una ditta che li aveva in smaltimento. Che ci fossero dei rifiuti, certamente non speciali, ma di chissà che genere, è certo. Mi pare, infatti, che gli scarti di polimero fossero della Enichem, della zona di Civitavecchia".

La Rigel e la Rosso. Le due navi più tristemente note per chi si è imbattuto nelle indagini sul traffico di scorie radioattive in fondo al mare. Se la prima, infatti, è l'unica per cui si può parlare apertamente di affondamento doloso (vista la condanna per frode assicurativa) la Rosso è la nave su cui De Grazia dedicherà la maggior parte del proprio impegno. Anche il viaggio in auto che gli sarà fatale, infatti, era finalizzato proprio ad acquisire elementi sulla motonave della Linea Messina: "Dovevamo sentire anche l'equipaggio e il comandante della Jolly Rosso, ciò di cui mi sono occupato io dopo la morte di De Grazia. Lui doveva andare proprio per questo motivo. Mi aveva detto chiaro e tondo di andare a Crotone al suo posto, per ascoltare il demolitore. Preferiva parlare lui con il comandante della nave perché aveva da rivolgergli delle domande specifiche. Io non avevo nulla da obiettare e nel pomeriggio, verso le 17, sono partiti. Io sono partito l'indomani mattina, verso le 4.00, per andare a Crotone. Mi pare di aver avuto l'ultimo contatto intorno alle 18, quando erano già in partenza da Reggio Calabria o già in prossimità di qualche altro luogo". Un viaggio che De Grazia non avrebbe dovuto neanche fare gli costerà dunque la vita. Una morte per "cause naturali" su cui da sempre – e soprattutto nelle ultime settimane – si depositeranno inquietanti interrogativi. A detta di Scimone (i cui ricordi, al cospetto della Commissione Ecomafie non sono sempre lineari), lo scambio di missione sarebbe avvenuto su precisa indicazione di De Grazia. E il maresciallo avrebbe appreso della morte del Capitano solo diverse ore dopo: "Quando sono arrivato a Crotone - non sapevo nulla - ho trovato il Cannavale (il demolitore, ndr) e, mentre lo stavo interrogando, mi è arrivata la telefonata dal collega della sezione che mi chiedeva se sapessi cosa era successo a De Grazia. Ho pensato a un incidente stradale, era la cosa più logica. Gli ho chiesto se si fosse ferito, ma lui mi ha risposto di fare come se non mi avesse chiesto niente. Ho telefonato subito a Moschitta e l'ho sentito un po' strano. Quando gli ho chiesto cosa fosse successo, mi ha risposto che De Grazia era morto e lì c'è stato un momento...".

Rigel e Rosso, le navi più famose. E l'obiettivo di De Grazia sarebbe stato proprio quello di tentare di mettere in correlazione i due casi, uno terminato con l'affondamento e l'altro (ma solo per un curioso disegno del destino) con il naufragio ad Amantea. Dietro, però, potevano esserci gli stessi burattinai: "Doveva capire – dice ancora il maresciallo Scimone - se i personaggi della Rigel in qualche modo si sovrapponessero a quelli della Jolly Rosso o viceversa. Stavamo portando avanti insieme queste due fasi, sia la Rigel sia la Jolly Rosso. Non c'era un comparto stagno per il quale Moschitta, in qualità di nucleo operativo, dovesse occuparsi esclusivamente di un aspetto. Doveva verificare se ci fosse, alle spalle di questi personaggi, una possibile associazione. Tutto era finalizzato a cercare di capire quali fossero personaggi in comune, cosa ci fosse dietro questi personaggi per l'affondamento della Rigel e ricostruire la vicenda della Jolly Rosso". Per questo, dunque, De Grazia avrebbe intrapreso il viaggio per La Spezia insieme al Carabiniere Moschitta. Fino alla tragica sosta in Campania, dove poi De Grazia, dopo la cena, inizierà a sentirsi male: "Lui era più tecnico nella materia nautica. Io ero più tecnico dal punto di vista della polizia giudiziaria. Moschitta e io siamo più esperti nella stesura dei verbali. A questo punto, De Grazia disse che sarebbe stato meglio che fosse lui ad andare con Moschitta perché, tecnicamente, avrebbe potuto rivolgere domande più precise. Si trattava solo di essere più tecnici nelle domande. Ha preferito mandare me a Crotone, dove avrei steso un altro verbale d'interrogatorio per le sommarie informazioni di Cannavale".

Il muro di gomma non era facile da scardinare (e non lo sarà per anni), per questo, a detta di Scimone, il pool avrebbe dovuto ricorrere spesso a controlli incrociati: "C'era un fascicolo della Rigel, ma lo ricavammo dall'attività della procura di La Spezia. Siamo venuti a conoscenza tramite La Spezia dell'affondamento di questa nave, dove abbiamo avuto le bolle di carico e tutta la fase d'indagine che avevano condotto, tra cui la coincidenza del giorno dell'affondamento riportato sull'agenda di Comerio". Già, Giorgio Comerio. E' lui uno dei personaggi principali delle indagini che ruotano attorno alle "navi dei veleni". A casa dell'ingegnere di Garlasco, il Capitano De Grazia troverà anche degli incartamenti relativi alla morte della giornalista Ilaria Alpi, uccisa da un commando a Mogadiscio, in Somalia, probabilmente mentre indagava su traffici di armi e di scorie radioattive. Comerio, infatti, avrebbe elaborato negli anni un sistema di smaltimento dei rifiuti nei fondali marini, attraverso dei penetratori che si sarebbero dovuti conficcare negli abissi più profondi. A spiegare il meccanismo alla Commissione è un altro degli investigatori ascoltati circa un mese fa, il primo maresciallo e nocchiere di porto, Luigi Trasacco, che per un determinato periodo avrebbe affiancato (anche se lui parlerà solo di "compagnia") De Grazia: ""In seguito, sono venuto a conoscenza, ma non ricordo di aver visto la documentazione, dei progetti sempre di una ditta del Comerio per un sistema di smaltimento che aveva ideato per queste scorie, dei penetratori o delle telemine, se non ricordo male, due sistemi che avrebbero dovuto essere utilizzati. Si trattava di penetratori che, per caduta, si sarebbero interrati, contenendo quello che contenevano, mentre il sistema delle telemine, che dovevano essere, se non erro, una specie di siluri teleguidati, sempre riempiti con queste scorie e rifiuti. Per l'utilizzo di questi sistemi, si sarebbe ricorso a delle navi Ro/Ro, di cui la Jolly, se non ricordo male, era un tipo [...] e ne parlò il comandante. Di lì a poco, se non ricordo male, in una trasmissione televisiva fu ospite il Comerio, per cui se ne parlò in televisione, lessi degli articoli. Ricordo bene questi dischetti, le mie visite a Messina e il viaggio a Roma con lui perché doveva incontrare, questa volta, un esperto di materiale radioattivo. Non so chi fosse, ma se anche me l'avesse detto, come sinceramente non mi pare, non lo ricordo". I servizi restano sempre e comunque sullo sfondo, come un'opprimente e costante presenza, su tutte le attività portate avanti prima e dopo (e forse anche durante) la morte di Natale De Grazia: "Noi tramite il magistrato abbiamo segnalato che c'erano delle problematiche sulle telemine. Era opportuno segnalare il progetto di Comerio ai servizi segreti, competenti per materia, al SISMI.  Sono venuti, hanno analizzato la documentazione, hanno dichiarato che di parte di questa erano già a conoscenza e ci hanno fornito altra documentazione".

Personaggi oscuri, tanto Comerio, tanto un altro uomo che entra a gamba tesa nelle indagini: quell'Aldo Anghessa che nei Servizi Segreti sarebbe stato di casa, tanto da partecipare, negli anni, a diverse operazioni di intelligence. Secondo il racconto del maresciallo Scimone, Anghessa sarebbe entrato in contatto con il pm Neri, paventando l'ipotesi di poter dare un contributo fondamentale alle investigazioni: "Anghessa, fece intendere - siamo nella prima fase - che era disponibile a segnalare a noi l'arrivo di una nave contenente rifiuti radioattivi. L'avrebbe fatto per gentilezza, come forma di confidenza. Era noto che Aldo Anghessa avesse praticato traffici simili - non in relazione ai rifiuti, ma alle armi - e aveva messo in grosse difficoltà qualche procura della Repubblica, non mi ricordo quale, per aver collaborato. Era stato anche inquisito nell'indagine "cheque to cheque", una cosa di questo genere, se non ricordo male da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, in ogni caso una procura campana. Forse salernitana, non mi ricordo. Il magistrato ha ritenuto opportuno stare calmi perché a questo signore c'era poco da credere e, siccome non era credibile, l'abbiamo lasciato perdere". Fin qui quasi niente di strano. Le storie calabresi sono piene di spioni, nella maggior parte dei casi ciarlatani. Tempo dopo, però, Scimone sarà protagonista di un episodio, che racconterà alla Commissione di Gaetano Pecorella: "Un bel giorno, mentre mi stavo prendendo un caffè, si è presentato un signore che mi ha detto: "io sono il collaboratore di Aldo Anghessa: volevo avere notizie". Gli ho risposto che non lo conoscevo e che, se avesse voluto, era lui che avrebbe dovuto venire da me, che io non avevo niente da dirgli. Questo è il tentativo che hanno fatto per agganciarmi. La mia definizione che aveva mezzi e uomini a disposizione deriva da questo contatto che avevo ricevuto". "Alfa Alfa", sarebbe stato questo il nome in codice (non troppo originale, a dire il vero) di Aldo Anghessa nei servizi: "In quella circostanza – dice Scimone -  capii che c'era troppo movimento alle spalle di questo personaggio: nonostante gli arresti domiciliari uomini, telefoni, macchine a disposizione".

Scorie radioattive, faccendieri, servizi segreti. E la 'ndrangheta? C'è anche la 'ndrangheta. Già a metà degli anni '90, una nota degli 007 parla del coinvolgimento della 'ndrangheta di Giuseppe Morabito, "il Tiradritto": "Informatori del settore non in contatto tra loro – la precisazione è rilevante per la cosiddetta convergenza delle fonti – hanno riferito che Morabito Giuseppe, detto Tiradiritto, previo accordo raggiunto nel corso di una riunione tenutasi recentemente con altri boss mafiosi, avrebbe concesso in cambio di una partita di armi l'autorizzazione a far scaricare nella provincia di Africo un quantitativo di scorie tossiche presumibilmente radioattive". E il tramite sarebbe stato proprio il Carabiniere Moschitta, l'uomo insieme a De Grazia nell'ultimo viaggio: "Se non ricordo male, è pervenuta tramite il nucleo operativo del reparto di Messina, di cui faceva parte Moschitta, su segnalazione anonima con allegate fotografie. In una fotografia, c'erano dei bidoni sul torrente La Verde, ad Africo appunto. C'erano due bidoni fotografati ed erano indicati quali smaltitori di questi rifiuti gli esponenti della famiglia Morabito di Africo". Un'indagine di cui però, a detta di Scimone, non si saprà più nulla: "Se ne occupò il dottor Cisterna, a cui è stato consegnato il fascicolo. Non siamo entrati più in merito".