'Ndrangheta ovunque: dal personale agli appalti. Le motivazioni dello scioglimento dell'Asp di Reggio Calabria

ReggioAsp500di Claudio Cordova - Caos organizzativo, cattiva gestione e infiltrazione della criminalità organizzata in vari settori. Emerge questo dagli accertamenti svolti dalla Commissione d'accesso (e condivisi dal prefetto Michele Di Bari) sull'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, sciolta per infiltrazioni della 'ndrangheta: "Assume rilevanza emblematica la circostanza che con riferimento a due dipendenti condannati ai sensi dell'art. 416-bis del codice penale con sentenze divenute irrevocabili rispettivamente a luglio e ad ottobre 2018, solo nel successivo mese di novembre l'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria ha avviato la procedura finalizzata alla risoluzione del rapporto di lavoro. Sotto questo profilo, e' altresi' significativo come, negli anni passati, l'azienda abbia omesso di adottare le prescritte misure disciplinari nei confronti di alcuni dipendenti condannati in via definitiva per associazione di tipo mafioso o per reati aggravati" scrivono gli ispettori.

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Questo esempio e molti altri, opportunamente "omissati", vengono indicati dal Prefetto come "punti di incontro tra la pubblica amministrazione e le consorterie di 'ndrangheta".

Viene inoltre stigmatizzata la fitta ed intricata rete di rapporti di parentela, di affinita' e di frequentazione che legano persone controindicate ovvero esponenti anche apicali della criminalita' organizzata locale a numerosi soggetti che prestano attività lavorativa alle dipendenze dell'azienda, alcuni dei quali con pendenze o pregiudizi di natura penale. La commissione di indagine ha poi dedicato una specifica attenzione all'attivita' gestionale - notoriamente esposta al rischio di pregiudizievoli condizionamenti esterni - in ordine alla quale sono state accertate diffuse inefficienze ed irregolarita' unitamente ad una generalizzata situazione di grave disordine organizzativo. Ne costituiscono eloquente esempio le ripetute anomalie riscontrate nel settore delle risorse umane - definito dal prefetto "assolutamente fuori controllo" - ed il notevole ritardo con cui e' stato adottato l'atto aziendale che, pur rivestendo un'importanza fondamentale per la vita dell'istituzione sanitaria, e' stato emanato solo nel 2017 e risulta a tutt'oggi privo di una compiuta attuazione.

"Il mancato o tardivo avvio di procedimenti disciplinari ha spesso comportato il risultato della decadenza dell'azione stessa e l'impunità di soggetti [...] in tale contesto appare singolare l'iniziativa avviata dall'Azienda di far "autocertificare" ai dipendenti la loro posizione penale" scrive il prefetto Di Bari.

Non è un mistero, anzi, un dato acclarato, che la sanità sia da tempo uno dei terreni privilegiati su cui insinua la 'ndrangheta. Nella relazione del Prefetto, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, i nomi e i dettagli vengono "omissati", ma il quadro che ne emerge è desolante: "in ordine ai rapporti tra l'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria e le strutture private accreditate nonche' le farmacie ed i depositi farmaceutici, le risultanze dell'accesso hanno disvelato l'assoluta mancanza di una corretta attivita' di pianificazione nonche' il costante superamento dei limiti annuali di spesa fissati dal competente dipartimento dell'amministrazione regionale con una conseguente, indebita erogazione di risorse finanziarie".

Per quanto concerne gli affidamenti di lavori, servizi e forniture, nel settore delle manutenzioni la commissione di indagine rimarca la mancata adozione da parte dell'azienda di norme regolamentari o di atti di indirizzo finalizzati a rendere uniformi le procedure di aggiudicazione, ad oggi gestite da diverse centrali di committenza in corrispondenza con i territori di competenza delle soppresse aziende sanitarie locali n. 9 di Locri, n. 10 Palmi e n. 11 di Reggio Calabria: "E' stato inoltre rilevato che le predette centrali di committenza hanno fatto reiteratamente ricorso al metodo dell'affidamento diretto anche al di fuori dei casi previsti dalla disciplina vigente, senza porre in essere alcuna valutazione comparativa in contrasto con i principi di trasparenza e di tutela della concorrenza". Ancora dalla relazione del prefetto: "La sistematica violazione delle regole di buon andamento ha trovato, altresì, ulteriore riscontro nella perdurante inapplicabilità della regola della evidenza pubblica, nella scelta dei contraenti e, più in generale, nell'attività contrattuale con particolare riferimento agli acquisti ed alle forniture di beni e servizi a mezzo di reiterate proroghe, rinnovi e acquisti fiduciari".

Dal modus operandi avrebbero tratto vantaggio ditte controindicate tra le quali il prefetto menziona una societa' destinataria, ad ottobre 2013, di un provvedimento interdittivo antimafia - la cui legittimita' ha superato con esito positivo il sindacato giurisdizionale - e nondimeno ripetutamente affidataria di forniture di materiali edili nel 2016. In tale direzione, riveste valore sintomatico la circostanza che diversi lavori di rimozione rifiuti sono stati eseguiti nel 2016 - per conto di strutture e presidi delle ex aziende sanitarie locali n. 9 di Locri e n. 10 di Palmi - da un'impresa a sua volta destinataria, ad agosto dello stesso anno, di un diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori ed esecutori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. white list) tenuto dalla Prefettura di Reggio Calabria nonche' di un'informativa interdittiva nel 2009.

Sempre nel settore delle manutenzioni, sono emersi gli stretti collegamenti per rapporti di parentela o di affinita' ovvero le convergenze di interessi tra elementi degli ambienti malavitosi locali ed i titolari di altre ditte beneficiarie di affidamenti diretti tra cui figurano due imprese, aggiudicatarie di lavori nel 2016 e nel 2017, nei confronti delle quali la Prefettura ha adottato provvedimenti ostativi antimafia rispettivamente ad agosto 2017 ed a gennaio 2018. La commissione di indagine ha poi accertato l'esistenza di analoghi, pregiudizievoli collegamenti nei confronti di amministratori e dipendenti di talune delle ditte costituenti l'associazione temporanea di imprese a cui e' stato aggiudicato, per gli anni 2013-2018, il servizio di pulizia e sanificazione delle strutture dell'Azienda sanitaria provinciale reggina.

In ordine alle ulteriori procedure contrattuali poste in essere dall'azienda, riferisce il prefetto che anche una delle societa' affidatarie del servizio di lavaggio e noleggio biancheria e' risultata vicina alle consorterie territorialmente dominanti in ragione dei vincoli di parentela o di affinita' di taluni soci e dipendenti con soggetti controindicati. Al riguardo, e' significativo che la societa' in questione - a cui il servizio era stato inizialmente affidato dall'Azienda sanitaria locale n. 11 di Reggio Calabria con atto dirigenziale di giugno 2006 - ha beneficiato di ripetute proroghe, l'ultima delle quali disposta a novembre 2018. Parimenti, nella gestione del patrimonio immobiliare sono state riscontrate diffuse irregolarita' ed inefficienze. In particolare, il prefetto evidenzia che diversi immobili non risultano censiti al catasto o si trovano in stato di abbandono e che non e' mai stato approntato un piano finalizzato alla valorizzazione o dismissione dei beni non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali dell'azienda. La commissione di indagine sottolinea altresi' che l'Azienda sanitaria provinciale reggina non ha mai intrapreso alcuna iniziativa per ottenere lo sgombero di immobili occupati sine titulo da soggetti che annoverano pregiudizi di natura penale o legami familiari con esponenti di ambienti controindicati, tant'e' che alcuni di tali soggetti hanno gia' usucapito la proprieta' degli immobili occupati ed altri hanno in corso giudizi finalizzati ad ottenere la dichiarazione di usucapione.

In sede di accesso e' stato, infine, preso in esame il settore economico-finanziario che e' risultato connotato da fortissime criticita' - stigmatizzate dalla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della regione Calabria per l'esercizio finanziario 2017 - quali l'omessa approvazione dei bilanci a decorrere dal 2013, la mancata tenuta di scritture contabili obbligatorie ed una ingente esposizione debitoria aggravata dall'incapacita' dell'azienda di avere esatta contezza dei debiti pregressi e di provvedere tempestivamente al pagamento degli stessi. "Manca la quantificazione del debito pregresso e sussiste un disallineamento nello stato patrimoniale del bilancio aziendale tra la contabilità e i valori inseriti a bilancio" scrive il Prefetto Michele Di Bari.

Gli indizi di ingerenza mafiosa nella gestione amministrativa dell'istituzione sanitaria, analiticamente e dettagliatamente esaminati nella relazione del prefetto di Reggio Calabria, portano a ritenere sussistenti i presupposti previsti dalla legge per l'intervento dello Stato mirato a prevenire e contrastare il fenomeno dell'infiltrazione della criminalita' organizzata a livello locale ed a recuperare l'azienda ai propri fini istituzionali: "Per le considerazioni suesposte, si ritiene necessario provvedere ad eliminare, attraverso lo scioglimento dell'organo di direzione generale e la nomina di una commissione straordinaria cui affidare le funzioni da questo esercitate, ogni motivo ulteriore di deterioramento ed inquinamento della vita amministrativa dell'ente, a salvaguardia degli interessi delle comunita' comprese nell'ambito territoriale di utenza dell'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. La valutazione della situazione in concreto riscontrata, in relazione alla presenza e all'estensione del fenomeno inquinante, rende necessario che la durata della gestione commissariale sia determinata in diciotto mesi" conclude la relazione.