Le cosche si dividono la A3. Sentenza processo “Cosa Mia”: uno scenario sconfortante

cantieriA3di Claudio Cordova - Ad aprire squarci fondamentali agli inquirenti è stato il collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco, ex boss della 'ndrangheta di Castrovillari. Al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, Di Dieco racconterà di una decina di riunioni notturne in località Bosco di Rosarno, in cui la 'ndrangheta aveva discusso delle logiche di spartizione delle tangenti sui lavori della A3 e ciascuna cosca rivendicato l'attribuzione dei profitti relativi alla quota dei lavori che dovevano essere svolti nel territorio sottoposto al controllo della cosca di appartenenza.

Le motivazioni della sentenza di primo grado del processo abbreviato "Cosa Mia" (l'ordinario è in corso a Palmi), emessa dal Gup di Reggio Calabria, Antonino Laganà, partono proprio da Di Dieco. L'indagine, curata oltre che dal pm Di Palma, anche dal sostituto procuratore della Dda, Giovanni Musarò, avrebbe svelato l'interesse, costante, delle cosche della Piana sui lavori di ammodernamento del V Macrolotto dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria.

All'inizio dell'anno, al termine del giudizio abbreviato, il Gup ha inflitto condanne durissime, anche nei confronti delle molte donne alla sbarra. Massimo Aricò, 8 anni; Vincenzo Barone, 8 anni; Umberto Bellocco, 18 anni; Francesco Campagna, 9 anni; Rocco Carbone, 6 anni; Pasquale Casadonte, 8 anni; Alberto Cedro, 9 mesi; Antonio Dinaro, 11 anni di reclusione e 600 euro di multa; Antonino Ficarra, 8 anni; Roberto Ficarra, 8 anni; Domenico Gallico classe '73, 8 anni; Italia Antonella Gallico, 9 anni e 2200 euro; Lucia Gallico, 8 anni 6 mesi e 1600 euro; Maria Antonietta Gallico, 8 anni 4 mesi e 600 euro; Vincenzo Gioffrè, 6 anni; Giulia Iannino, 8 anni 2 mesi e 600 euro; Gaetano Giuseppe Santaiti, 3 anni; Carmelo Sgrò, 8 anni 6 mesi e 700 euro; Elena Sgrò, 6 anni 2 mesi e 600 euro; Rosario Sgrò, 8 anni; Vincenzo Sgrò, 8 anni.

Al centro dell'indagine le attività dei clan Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano di Palmi, e dei Bruzzise-Parrello del "locale" di Barritteri e Seminara. L'indagine, portata avanti anche con il coordinamento del procuratore aggiunto Michele Prestipino, svelò un mondo fatto di tangenti per i lavori sulla A3, di omicidi di mafia, ma anche estorsioni e violenze nei confronti di chiunque si rapportasse con le cosche. Secondo le indagini della Dda, sarebbe stato proprio il vecchio boss Umberto Bellocco, a stabilire chi avesse diritto a ricevere la tangente del 3% sul capitolato d'appalto dei lavori della Salerno Reggio Calabria: si tratta della cosiddetta tassa di "sicurezza sui cantieri". Somme non indifferenti che il Contraente Generale (il Consorzio Scilla, formato da Impregilo S.p.a. e Condotte S.p.a.) avrebbe versato ai rappresentanti della 'ndrangheta, i quali a loro volta provvedevano a ripartire le quote ai vari rappresentanti delle 'ndrine legittimate alla spartizione.

Alle riunioni, secondo il pentito Di Dieco, avrebbero partecipato personaggi assai in vista delle cosche Pesce (di Rosarno), Tripodi (di Bagnara Calabra), Longo (di Polistena) e Alvaro (di Sinopoli). Agli inquirenti, il collaboratore precisava, inoltre, che la richiesta estorsiva non era limitata alla riscossione del 3% dell'importo del capitolato, ma riguardava anche l'imposizione delle ditte gradite alle cosche in materia di subappalti relativi alle forniture di materiale e di mezzi a nolo ed il movimento terra.

Solo le ditte gradite alla 'ndrangheta avrebbero potuto ottenere i lavori in subappalto: "Dall'attività di indagine compiuta nell'ambito del presente procedimento – scrive il Gup Laganà - è emerso in modo chiaro che non solo le ditte che eseguivano i lavori di ammodernamento dell'autostrada, ma anche quelle che si aggiudicavano gli appalti di servizi in qualche modo connessi (es. appalto per la pulizia del campo base, appalto per il servizio di lavanderia) dovevano rientrare fra le imprese "gradite" alla criminalità organizzata calabrese".

Ma quello del subappalto è un passaggio che arriverebbe solo dopo. Dalle carte dell'inchiesta "Cosa Mia", infatti, emergerebbe "in maniera incontestabile la disponibilità del Contraente Generale operante sul V macrolotto (Condotte S.p.a. ed Impregilo S.p.a.) a sottostare alla c.d. tassa ambientale, pari al 3%, da corrispondere alle organizzazioni criminali". Insomma, dunque, il General Contractor, avrebbe capito piuttosto in fretta che per avere una certa "sicurezza sui cantieri" era necessario "devolvere" alla 'ndrangheta una tangente pari al 3% dell'appalto. E sono le stesse conversazioni telefoniche, intercettate, tanto tra i funzionari delle ditte, tanto tra gli stessi affiliati, anche di grande livello, a fornire il riscontro alle dichiarazioni di Di Dieco: "Alla luce di quanto finora esposto – scrive il Gup Laganà - le dichiarazioni rese dal collaborante Di Dieco, appaiono intrinsecamente attendibili ed oggettivamente riscontrate, sicché deve pervenirsi ad un positivo scrutino in ordine alle medesime, in quanto sono state oggetto di positivi riscontri esterni".

Uno scenario sconcertante, quello che emerge dalle carte messe insieme dai pm Prestipino, Di Palma e Musarò e che il Gup, almeno in primo grado, ha avvalorato. Uno scenario in cui il Contraente Generale fa tutt'altro che una bella figura, mostrandosi, nella migliore delle ipotesi, accondiscendente, attraverso i propri dirigenti locali, alle "istanze" della 'ndrangheta.

In Calabria si adegua chiunque.

Un dato, quello della cosiddetta "tassa ambientale" sui cantieri della A3, che emergeva in indagini più o meno recenti, come quelle "Tamburo" e "Arca", ma anche in inchieste storiche e datate, come quella "Porto": "Può considerarsi dato probatorio pacifico ed incontestabile – scrive ancora il Gup Laganà -  il fatto che le cosche pretendevano dal Contraente Generale una percentuale sui lavori da eseguire e che questa percentuale era pari al 3% del capitolato d'appalto. Non poi è superfluo sottolineare che la percentuale destinata al pagamento della "tangente" non è certo nuova nel panorama imprenditoriale calabrese. Difatti, già nell'ambito del procedimento denominato "Porto" era emersa, per come evidenziato dai requirenti, un'analoga percentuale dovuta alle imprese mafiose operanti nella zona".

Ma un altro dato molto significativo sancito dalla sentenza di primo grado del procedimento "Cosa Mia", arriva dalla spartizione territoriale che le cosche si sarebbero date per la riscossione della tangente sui cantieri. E anche i numerosi omicidi perpetrati nell'ambito della "faida di Barritteri", a Seminara, dal gennaio 2004 al dicembre 2006, sarebbero riconducibili proprio alla legittimazione a riscuotere i proventi delle estorsioni connesse ai lavori di ammodernamento della A3. Una riapertura della faida tra i Bruzzise e lo schieramento Gallico-Morgante-Sciglitano per esclusive ragioni di denaro. Non tutti i macrolotti, infatti, sono uguali. In una conversazione intercettata, Giuseppe Gallico evidenziava come il tratto fino a Palmi fosse quello maggiormente remunerativo poiché dovevano esser realizzati ponti e gallerie.

E chi lavorava lo decideva la 'ndrangheta: "La presente indagine (e quella che su questo punto ne costituisce il presupposto, c.d. "operazione Arca") – scrive il Gup Laganà - ha dimostrato che la metodologia utilizzata per estromettere le imprese non contigue alla criminalità organizzata muoveva su due differenti piani: da un lato si cercava di scoraggiare alcune ditte attraverso i contatti informali nel corso dei quali venivano prospettati prezzi bassissimi per potere concretamente partecipare ed aggiudicarsi le singole gare; dall'altro, si faceva ricorso alle tipiche metodologie mafiose, cioè alle intimidazioni mediante l'utilizzo di armi e/o attraverso i danneggiamenti alle cose".

La 'ndrangheta avrebbe condizionato ogni singolo respiro delle attività delle ditte sui cantieri, arrivando a imporre (e anche in questo caso è "storia vecchia") anche l'assunzione delle maestranze. E della suddivisione delle tangenti tra  le famiglie "competenti" sul V Macrolotto della A3 sono proprio gli affiliati a parlare nelle intercettazioni telefoniche. Un controllo capillare della 'ndrangheta con una chiara divisione della A3 in zone di competenza, con riferimento ai territori "amministrati" dalle varie cosche.

Un sistema che il Gup Laganà descrive in maniera schematica con poche, ma chiarissime parole: "Le 'ndrine calabresi, in cambio della c.d. "sicurezza nei cantieri" impegnati nei lavori di ammodernamento della A3, avevano stabilito una serie di principi: divisione della A3 in zone di competenza territoriale per ciascuna cosca, c.d. "tassa ambientale" (cioè la tangente da pagare alle cosche, corrispondente al 3% dell'importo fissato nel capitolato), sovrafatturazioni o emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti, fornitura di materiale qualitativamente non corrispondenti al capitolato d'appalto, imposizione di ditte "amiche", ostracismo nei confronti di quelle non gradite, posa in opera del materiale con metodi tali da impiegare un quantitativo inferiore a quello necessario ma apparentemente rispondente a quello fatturato, imposizione di assunzioni".