I nemici di Reggio Calabria

ReggioLungomaredi Claudio Cordova - Nella Sicilia degli anni '80 accadeva di sentir dire, forse anche di leggere su qualche striscione, "La mafia dà lavoro" a fare da contraltare allo Stato che, invece, lo toglie. Ampia parte della Calabria, che vive sempre con un fuso orario di almeno una ventina d'anni, di tutto ciò è ancora convinta: si tratta di uno dei tanti inganni su cui si gioca il potere della 'ndrangheta, a dispetto di evidenze storiche e processuali che mostrano come, invece, le 'ndrine abbiano condizionato e condizionino lo sviluppo economico della regione.

E' la 'ndrangheta (che si stringe al malaffare economico e politico) il vero nemico per la crescita del territorio. E invece si alimenta la falsa convinzione che fin quando c'è la 'ndrangheta di mezzo le attività commerciali fioriscono e che, allorquando interviene lo Stato, ogni progetto economico va in malora. Omettendo – o per ignoranza o per malafede – che fin quando c'è di mezzo la 'ndrangheta ogni azienda gioca totalmente fuori dalle regole del mercato, in virtù della propria capacità di assoggettamento.

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Anche la recente inchiesta "Eracle" mostra una città controllata e terrorizzata dalla guardiania dei giovani rampolli dei clan. Mostra come la movida reggina – da sempre crogiuolo dei rapporti tra borghesia e 'ndrine – fosse regno delle nuove leve mafiose, in contatto con gestori dei lidi più rinomati e con dj e promoter tutti cocktail e risvoltini. 'Ndrangheta che blandisce la "Reggio bene", ma anche che minaccia e colpisce fisicamente: come nel caso dei ragazzi, pestati e presi a pistolettate, per aver avuto un alterco con il re delle serate reggine, Nick Maltese (ognuno hai i sovrani che si merita).

Non si tratta (solo) di profitto economico. Ma, soprattutto, di controllo del territorio, senza il quale la 'ndrangheta sarebbe "semplicemente" una banda armata. Si tratta della volontà di far credere che nulla può cambiare, che tutto quello che è andato in un determinato modo debba continuare a restare immutabile, di convincere i cittadini che nulla possa accadere senza il volere dei clan, che nessuna attività possa nascere e crescere senza che la 'ndrangheta metta il cappello.

Va combattuta l'idea che la 'ndrangheta dà lavoro e per questo va ribaltato un atteggiamento culturale, va cioè dimostrato con fatti concreti che la legalità porta sviluppo e non disoccupazione. La 'ndrangheta non dà lavoro e non fa girare l'economia.

Al contrario, toglie lavoro regolare. Come nel caso dei "buttafuori", tutti abusivi, tutti illegali, tutti in contatto con i clan, a scapito delle agenzie e del personale autorizzato. Saranno le indagini a chiarire il grado di coinvolgimento dei gestori dei locali, ma, ancora una volta, da intercettazioni e accertamenti sembra emergere una accondiscendenza da parte di chi fa business di varia natura verso gli ambienti criminali. Ed è proprio questo il punto: fin quando la città non sarà in grado di liberarsi da quello che potremmo definire un "bisogno di 'ndrangheta" ogni azione di magistratura e forze dell'ordine, per quanto necessaria per il vivere civile, sarà quasi del tutto sterile per la sconfitta delle logiche del crimine organizzato. Sempre più spesso la 'ndrangheta viene vista come uno scudo dai problemi, come un certificato di garanzia per la riuscita degli affari.

E non è vero che la 'ndrangheta fa girare l'economia. La 'ndrangheta alimenta il mercato illegale e di esso si alimenta. La vicenda che ha per protagonista/vittima il titolare della gelateria "Cesare" è l'emblema di come ai clan non importi lo sviluppo economico e sociale della città. La 'ndrangheta è pronta quindi a "avvisare" e poi a colpire chiunque, anche attività commerciali storiche come "Cesare", chiosco rinomato anche a livello nazionale, quasi sempre meta dei turisti. Il divieto degli "amici di Archi" al titolare di "Cesare" di interessarsi a un immobile su cui gli affiliati avevano messo gli occhi oppure il divieto di aprire una vicina attività commerciale attiva nel medesimo settore perché essa poteva creare concorrenza, sono imposizioni vigliacche e indegne per un luogo civile, che però trovano ancora ragion d'esistere perché le denunce di tali pratiche (che avvengono quotidianamente) sono ancora troppo poche.

Non sarà mai l'azione repressiva a sconfiggere un fenomeno come quello 'ndranghetista. Al contrario, sarà la consapevolezza che, al netto delle questioni di natura morale, la 'ndrangheta è il primo motivo della decrescita del territorio. Sono quelli fermati nell'inchiesta "Eracle" e i tanti altri affiliati già condannati o in futuro scoperti il vero cancro della nostra terra.

Sono costoro i veri nemici di Reggio Calabria.