Uomini che odiano le donne

consiglioregionale14lug 500di Claudio Cordova - Impegnatevi quanto volete, ma una classe dirigente cialtrona come quella calabrese, difficilmente la troverete in giro. Lo psicodramma che va in scena a Palazzo Campanella nel corso della seduta del consiglio regionale che, dopo "soli" quattro anni di rinvii, avrebbe dovuto votare e approvare la legge sulla doppia preferenza di genere, non risparmia nessuno.

Dalla minoranza che, in maniera non molto virile (dato che si parla di genere), decide di astenersi, facendo saltare il provvedimento, alla maggioranza, che, dopo quattro anni in cui non ha avuto la forza e la dignità di portare in Aula il provvedimento, è vittima della propria inadeguatezza. Quella di ieri, infatti, doveva essere la seduta "buona" per approvare, finalmente, la proposta di legge predisposta da Flora Sculco, unica donna in Consiglio Regionale.

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Invece i maschi fanno muro. Ma non in maniera aperta, non "da uomini". Nella maniera più subdola. A nulla sono serviti il rinvio dell'approvazione e la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc. L'Aula di Palazzo Campanella ha respinto i quattro articoli della proposta 31/10 sulla promozione della parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive regionali, non raggiungendo la maggioranza assoluta dei voti: su 29 consiglieri presenti, 15 hanno votato favorevolmente, 13 si sono astenuti, mentre uno è stato il voto contrario.

A prescindere dalla bontà o meno del provvedimento, da cosa si pensi sulle quote rosa, sulle battaglie femministe e sulla condizione della donna in Calabria, ciò che sconcerta, per sciatteria e mancanza di spina dorsale, sono le modalità con cui il provvedimento salta. Dal governatore Mario Oliverio arrivano lacrime di coccodrillo: "Oggi si sta scrivendo una pagina negativa per il Consiglio regionale. Si sta scrivendo una pagina negativa perché si rappresenta la Calabria per quello che non è, ovvero una regione arretrata, non al passo con i cambiamenti che a livello nazionale ed europeo sono già in atto". Ma se della Calabria emerge ancora una volta un quadro che sembra uscito da un film con protagonista Cetto Laqualunque, la colpa è anche la sua. Parole cariche di rabbia, quelle del presidente della Giunta Regionale, ma probabilmente non tanto per il naufragio della legge, quanto perché, con la subdola mossa dell'astensione, il centrodestra lo ha infinocchiato.

A nulla è valsa la provocazione/protesta delle ore antecedenti alla seduta, un'azione dimostrativa portata avanti da un paio di giovani che a volto coperto hanno depositato un manichino di donna senza testa sulle scale della sede dell'assise regionale, a Reggio Calabria, gettando poi della vernice rosso sangue accanto allo stesso.

Lo spettacolo peggiore l'avrebbe dato alcune ore dopo la politica calabrese.

La minoranza si è smarcata, lasciando la patata bollente a una maggioranza, quella del governatore Oliverio, sempre più allo sbando, nonostante il voto (quasi) compatto, con il solo Orlandino Greco a pronunciarsi in maniera contraria. Con l'astensione, il centrodestra ha mostrato la fragilità dei numeri su cui si regge Oliverio che, senza il voto di Greco, non ha raggiunto la maggioranza assoluta. Una dura (ma meritata) punizione, visti gli anni di colpevole ritardo con cui il centrosinistra (quello che, sulla carta, dovrebbe battersi per i diritti) ha portato in Aula il provvedimento, sperando, evidentemente, di poterlo giocare come presa elettorale sull'universo femminile, in vista delle prossime elezioni. Con la stessa astensione, però, il centrodestra si aggancia a posizioni retrograde, di conservazione del potere e dei privilegi, senza nemmeno avere il coraggio, tuttavia, di dirlo apertamente.

La mossa politica del centrodestra, quindi, ricade più sugli avversari. Passa in secondo piano la linea Maginot alzata contro l'allargamento democratico dalla minoranza: a tenere banco, infatti, sono i ritardi avallati (e probabilmente in qualcuno voluti) del centrosinistra in questi anni, ma, soprattutto, la tenuta politica della maggioranza che, infatti, annuncia una non meglio precisata "mobilitazione popolare" per puntare sul furor di popolo al fine di non fare cristallizzare la figuraccia. Non si capisce bene con quale credibilità.

Questa volta, infatti anche chi crede fermamente a tali battaglie, farebbe bene a disertare.