Bivongi (RC), ritrovate monete antiche: la soddisfazione del prof. Castrizio

"Leggo con grande interesse sul sito di Telemia (https://www.telemia.it/2018/02/bivongi-moneta-bizantina-trovata-presso-convento-dei-ss-apostoli/) un articolo di Ugo Franco del 15 febbraio di quest'anno". E' quanto riportato in una nota di Daniele Castrizio, professore Ordinario di Numismatica dell'Università di Messina.

"In esso si fa cenno al ritrovamento di due esemplari di folles romei (dagli illuministi francesi chiamati bizantini) a Bivongi: uno sarebbe stato rinvenuto presso i poderosi ruderi del monastero dei SS. Apostoli, mentre l'altro verrebbe da quello di San Giovanni Theristìs (di cui oggi, 24 febbraio, si celebra la memoria liturgica).
Si tratta, come giustamente segnalato nell'articolo, di due monete molto importanti, che meritano una giusta collocazione storica ed economica. Tale operazione culturale può avere luogo da noi perché l'Università di Messina, come pochissime in tutta Italia, dispone di una Cattedra di Numismatica Medievale, specializzata per lo studio e la valorizzazione dei reperti monetali di epoca romea".

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"Le moneta più antica, - continua il professore - stando alla foto pubblicata, è un follis di bronzo dell'imperatore Eraclio (610-641), posteriore al III anno di regno, quando nacque suo figlio Eraclio Costantino. Sulla moneta, al diritto, si vedono gli imperatori (Eraclio, Megas Basileus, a sinistra, Eraclio Costantino, Mikròs Basileus, a destra), mentre al rovescio si può riconoscere il numerale greco M (= 40 nummi), affiancato dall'indicazione dell'anno di regno (purtroppo il numero è fuori conio) e in esergo l'indicazione della zecca di Costantinopoli. La moneta appare riconiata su un esemplare della zecca di Antiochia (dopo un terremoto avvenuto mentre imperava Giustiniano, chiamata Theupolis, la "Città di Dio") del II anno di regno di Tiberio II (582/3 d.C.). La riconiazione, nei momenti di crisi militare, era frequente per risparmiare i tempi di lavorazione delle monete, dal momento che l'Impero Romeo aveva l'obbligo di effettuare pagamenti sempre con monete "fresche" di conio.
L'esemplare, secondo la "Legge di circolazione monetale" della Calabria meridionale, è stato utilizzato fino a dopo la metà del VII sec. d.C., e il suo arrivo è stato determinato dal commercio, dato che il pagamento del vitto ai soldati e ai funzionari romei era assicurato, in quel periodo, dalle zecche di Roma e Ravenna, mentre la nostra moneta arriva da Costantinopoli.
La seconda moneta è ancora più importante: si tratta di un follis della zecca di Reggio coniato a Piazza Italia in occasione della spedizione militare di Giorgio Maniace del 1038. La moneta è una imitazione legale del c.d. follis anonimo di Classe C, coniato dalla zecca di Costantinopoli sotto l'imperatore Michele IV (1034-1041), e si deve al reggino prof. Rocco Aricò la ricerca che permette di riconoscere gli esemplari reggini da quelli di Costantinopoli. Al diritto si vede la figura del Cristo Antiphonites, la cui icona era molto venerata dall'Imperatrice Zoe Porfirogenita, mentre sul rovescio, che nell'esemplare in questione sembra avere subito uno "scivolamento di conio" piuttosto che una riconiazione, si trova una croce greca con le lettere IC XC NI KA ai quattro angoli (in greco, "Gesù Cristo vince"). Con l'arrivo dei Normanni, questa croce fu creduta lo stemma del ducato di Kalavrìa, e da allora (fino alla folle e ignorante "invenzione" di uno stemma in epoca contemporanea) associata alla nostra Regione (una o più croci greche sono presenti negli stemmi delle tre province originare calabresi): si tratta della "Croce di Calabria".
La moneta, secondo la "Legge di circolazione monetale" della Calabria, rimase in circolazione fino ai primi decenni della conquista normanna, e l'esemplare bivongese rappresenta un importante dato ai fini della ricostruzione dell'area in cui tali monete si trovarono a essere scambiate durante gi ultimi anni della nostra libertà e nei primi della dolorosa e mai terminata conquista della Calabria da parte dei barbari del nord".