"Mala Sanitas": dure condanne sui medici di Ginecologia, "il reparto degli orrori"

reggiocalabria ospedaliriuniti21aprdi Claudio Cordova - Non si salvano i medici del reparto di Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria coinvolti nell'inchiesta "Mala Sanitas", che andò a scoperchiare diverse gravissime colpe da parte dei sanitari con la sistematica manomissione delle cartelle cliniche per celare errori e negligenze. Il Tribunale di Reggio Calabria, infatti, ha condannato duramente i professionisti accusati dai pm Roberto Di Palma e Annamaria Frustaci.

Pur non riconoscendo l'esistenza dell'associazione per delinquere, il Tribunale ha condannato Luigi Grasso a 2 anni e 3 mesi, Maria Concetta Maio a 4 anni, Daniela Manuzio a 6 anni e 2 mesi, Antonella Musella a 4 anni, Filippo Saccà a 4 anni e 6 mesi, Massimo Sorace a 4 anni, Giuseppina Strati a 3 anni, Alessandro Tripodi a 4 anni e 8 mesi e Pasquale Vadalà a 4 anni e 9 mesi. Assolto Annibale Maria Musitano (difeso dagli avvocati Aldo Labate e Giuseppe Valentino), per cui l'accusa aveva invocato 3 anni e 6 mesi. Mentre l'accusa aveva chiesto prescrizione e assoluzione per Marcello Tripodi, Roberto Rosario Pennisi e Mariangela Tomo.

--banner--

Un'inchiesta – quella "Mala Sanitas" - che ha creato grande scalpore a Reggio Calabria e su tutto il territorio nazionale. Gli imputati rispondevano di falso ideologico e materiale, di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri nonché di interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Le condotte che l'indagine "Mala Sanitas" consegna alla popolazione fanno emergere uno spaccato agghiacciante degli Ospedali Riuniti, vero e proprio luogo di orrore, quasi di torture ai pazienti che, dopo i danni irreparabili causati dall'imperizia del personale medico venivano persino convinti della bontà del trattamento subito. All'interno del reparto, invece, sarebbe esistito un sistema di omissioni e coperture, oleato perché datato nel tempo.

Il Tribunale ha quindi pienamente accolto l'impianto accusatorio portato avanti nel lungo dibattimento dai pm Di Palma e Frustaci, riconoscendo le gravissime colpe mediche (che porteranno ad aborti e decessi dei feti), dichiarando la falsità di numerose cartelle cliniche: i medici, infatti, per nascondere le proprie condotte avrebbero manomesso tali documenti, in modo tale che quadrasse tutto.

L'imputato Tripodi, peraltro, avrebbe praticato un aborto all'insaputa della sorella, sospettando che il figlio della stessa potesse nascere con alcuni problemi. Tripodi, per come emerso dalle intercettazioni telefoniche sospettava che il feto avesse delle patologie cromosomiche e ha fatto abortire la sorella non solo senza il suo consenso e quello del cognato, ma anche mettendo in piedi un piano criminale degno di un film horror. I medici non si sarebbero fatti alcuno scrupolo. La donna doveva abortire perché Tripodi aveva deciso che quel feto era malato. E allora occorreva agire subito. Senza il consenso della gestante e architettando tutto nei minimi dettagli. Gli inquirenti ci sono arrivati attraverso una serie di intercettazioni telefoniche a dir poco agghiaccianti. Inizialmente, infatti, l'indagine era sul conto della potente cosca De Stefano, essendo Tripodi nipote dell'avvocato Giorgio De Stefano, considerato a capo della cupola segreta della 'ndrangheta.

Il caso scosse Reggio Calabria e non solo anche per quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte dalla Procura. Tripodi in una intercettazione farebbe apertamente riferimento alla circostanza che un altro medico, nel corso dell'intervento aveva cagionato alla paziente [Omissis] una perforazione della vescica, analogamente a quanto era accaduto nel caso della paziente denominata [Omissis] (TRIPODI: minchia non sai che è successo, stanotte l'ira di Dio; MANUZIO: eh? e di chi?; TRIPODI: allora, quella lì, eh, di OMISSIS, che gli ha sfondato la vagina;MANUZIO: eh;TRIPODI: eh, allora, lo sai, ha la vescica aperta, (RIDE......RIDE.....RIDE);MANUZIO: eh; TRIPODI: allora dal drenaggio esce urina .. te la ricordi a [Omissis]? Era oro.....mi ha chiamato OMISSSI dottore vedete se potete venire che qua c'è l'ira di Dio...ride....ride che oggi..........2 litri di urina dal drenaggio (ride).....in pratica...sono andato.... la vescica era aperta....l'hanno suturata in triplice stato....."). In un'altra conversazione, Tripodi parlando peraltro con altro collega medico dr.ssa Manunzio, le riferisce quanto appresso direttamente dal dr. Vadalà evidenziando che lo stesso (in prima persona) gli ha riferito (a conferma della gravità di quanto occorso in sala operatoria in uno dei casi trattati) "di non essersi ancora riuscito a spiegare cosa abbiamo combinato i colleghi medici in sala operatoria" ("VADALA' mi ha spiegato e mi ha detto io non lo so che cazzo hanno combinato, perchè l'isterotomia era fatta alta. Poi, dice c'era un buco nella vagina e l'utero in pratica era come se avessero fatto una..inc.le.. per fare un'isterectomia, la stessa cosa (ride) ...... dice non ha capito neanche lui quello che ha fatto..sangue che usciva a fontana da sotto..inc.le..m'immagino a TIMPANO"), concludendo poi Tripodi in ordine anche all'ulteriore intervento di Vadalà (poi, è arrivato VADALA' e gli ha dato un paio di punti là sulla vagina. Dalla vagina perdeva).

Tripodi riuscirà a non perdere il sorriso sulle labbra anche quando a morire sarà un bimbo. In una conversazione dice alla moglie che era morto un bambino, durante un parto eseguito dal primario, il dott. Pasquale Vadalà e dalla dott.sa Daniela Manuzio; aggiungeva di aver lasciato l'ospedale con la scusa di un appuntamento e di aver spento il cellulare, per evitare che il dott. Vadalà lo facesse rientrare in reparto (TRIPODI: "ehi... eh niente, gli è morto un bambino quà... A VADALÀ E ALLA MANUZIO ...omissis... ho chiuso il cellulare apposta, cretina, perché sennò mi chiamava in continuazione Vadalà eh...omissis.. e infatti me ne sono andato subito (ma fuia subutu) (n.d.r. ride)...").

Gli imputati sono stati anche condannati al risarcimento di numerose parti civili, in solido insieme all'Azienda Ospedaliera, ma l'importo dovrà essere liquidato davanti al giudice civile. Ciò che invece il Tribunale penale dispone è la provvisionale di 30mila euro per ciascuna delle parti civile riconosciute vittime del danno.