Un eroe e tre vite in più sulla Terra

di Nino Mallamaci* - Svolgendo da 15 anni l'attività di conciliatore sono venuto a contatto con migliaia e migliaia di persone. Molte, tra queste, le conoscevo già, avendo praticato sempre non il distanziamento ma l'avvicinamento sociale. Ma l'incontro di ieri, rigorosamente da remoto e in video, ha una valenza particolare, trattandosi di persona del mio paese vissuta fuori, della quale quindi non mi ricordavo. Lui, però, si ricordava di me e di mio padre, e anche di un episodio del quale io sono stato protagonista insieme al suo fratello maggiore.

Il sig. Verduci ha subito collegato il mio cognome e la mia faccia non a me da bambino, il che sarebbe stato un vero miracolo mnemonico viste le mie attuali sembianze, ma alla mia famiglia. Io, dal canto mio, ho subito messo in relazione il suo, di cognome, col mio ameno e amato paesello. L'appartenenza familiare, invece, me l'ha chiarita lui di sua sponte, consapevole che il nome di famiglia, diffuso come e più del mio in quel di Motta, non mi avrebbe detto nulla se non accompagnato dalla 'ngiuria o soprannome. In verità, io non vengo riconosciuto dalla 'ngiuria solo perché, nel mio caso, Jurettu (fioretto) – sembra che la mia bisnonna 'nnacasse mio nonno Nino appellandolo graziosamente "jurettedhu" – è stato sostituito dall'identificativo "u figghiu d'u medicu". La famiglia del sig. Michele Verduci, invece, credo per discendenza materna, ha evitato la confusione dell'omonimia, per ragioni a me ignote, col soprannome "Ciciuru", ovverossia cecio (il legume).
Allora, il sig. Michele Verduci Ciciuru, smessi i panni dell'utente giustamente incazzato indossati durante l'udienza, conclusasi in ogni caso positivamente, mi ha voluto raccontare cosa successe nel rione Praci del mio paese intorno all'anno 1965 del secolo scorso. Praci è una delle due montagnole – l'altra è Suso (sopra) – che sovrastano il centro, a giusta causa denominato "U Burgu". E lo sovrastano in maniera letterale, immanente, essendoci tra la parte bassa e alcune zone di quelle alte del mio borgo natio un dislivello notevole, con dirupi e strapiombi di considerevole altezza.

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A quel tempo, andare a "fare le visite" con mio padre e la sua 500 che imperversava, a velocità sostenuta per il gran numero dei pazienti da curare, per le viuzze del centro e i viottoli delle campagne, era per me e mio fratello un appuntamento imperdibile: "Brunenino, volete venire col babbo?" Quella mattina eravamo nella parte più alta di Praci, dove abitava il nonno di Michele, Giorgio Verduci. Quando mio padre entrava nelle case dei suoi malati noi aspettavamo in macchina, salvo alla fine quando capitava di essere accolti per un motivo preciso e nobile: "Purtatinci stu panaru a signora". Quel giorno, secondo il racconto, c'ero io da solo. Sinceramente, io ho un ricordo vaghissimo dei fatti, e quindi non ho contezza delle cause che li determinarono. Nel senso: non so se fui io a contribuirvi in qualche modo, magari sperimentando l'utilizzo di qualche leva della 500. Fatto sta che, a un certo punto, la 500 parcheggiata in una stradina laterale per non intralciare il traffico (??) cominciò a muoversi. Al volante non c'era nessuno, e l'unico passeggero era un bimbetto di 3 – 4 anni: io. Il problema era che, a pochi metri, si trovava uno degli strapiombi di cui sopra, per cui tra il bimbetto e il suo sfracellamento , insieme alla 500, non si presentavano ostacoli di sorta. Fu a quel punto che Giorgio (il nome del nonno, come era ed è d'uopo) Verduci, fratello maggiore di Michele, quindicenne o giù di lì, entrò in azione in questa sequenza: corsa verso la 500 "d'u medicu"; apertura sportello macchina diretta verso il burrone con bimbetto "figghiu d'u medicu" dentro; mano al freno e decisa tirata in alto dello stesso. E, last but absolutely least and painful, potenzialmente devastante impatto dei genitali del ragazzo con, presumibilmente, la parte più appuntita dell'utilitaria: lo spigolo dello sportello. Il lieto fine per il bimbetto non fu quindi abbinato ad analoga sorte per il ragazzo, costretto alle cure di mio padre per i successivi 15 giorni. Tuttavia, il sig. Michele, da me interpellato, mi ha assicurato che non ci sono state conseguenze durevoli e invalidanti per l'eroico fratello, riprodottosi per due volte senza problemi dopo aver salvato la vita al "figghiu d'u medicu". Col suo sprezzo del pericolo e la sua tempestiva iniziativa ha riconsegnato al mondo un suo abitante, sia pure rischiando di privarlo di altri due.

*scrittore e avvocato